Dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, Art. 26 “Ogni individuo ha diritto all’istruzione[…]. “L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali […].
Era l’inizio dell’ultimo anno di scuola primaria per i miei ragazzi e feci dono ad ognuno di un segnalibro che riportava questa frase: “Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo.»
Malala Yousafzai
Tutti furono presi dalla curiosità di conoscere chi avesse pronunciato quelle parole e fu così che entrammo nella storia di Malala.
Valle dello Swat, Pakistan 9 ottobre 2012, ore dodici. La scuola è finita, e Malala insieme alle sue compagne è sul vecchio bus che la riporta a casa. All’improvviso un uomo sale a bordo e spara tre proiettili, colpendola in pieno volto e lasciandola in fin di vita. Malala ha appena quindici anni, ma per i talebani è colpevole di aver gridato al mondo sin da piccola il suo desiderio di leggere e studiare. Per questo deve morire. Ma Malala non muore: la sua guarigione miracolosa sarà l’inizio di un viaggio straordinario dalla remota valle in cui è nata fino all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Oggi Malala è il simbolo universale delle donne che combattono per il diritto alla cultura e al sapere. Nel 2014 è diventata la più giovane vincitrice di sempre del Premio Nobel per la Pace.
Nella conversazione che seguì emersero stupore e disappunto per la realtà di quei ragazzi a cui veniva negato il diritto all’istruzione. Come potevano una bambina e un bambino crescere bene senza l’opportunità di frequentare la scuola, di incontrare gli amici e i maestri, di giocare insieme, di fare esperienze laboratoriali, di leggere, scrivere, raccontare?! E da qui la consapevolezza di essere fortunati e la voglia di impegnarsi a non sprecare le occasioni, di amare i libri e la lettura, di studiare non soltanto perché è un dovere, ma soprattutto per conoscere quali sono i propri diritti e come difenderli. “L’analfabetismo infatti, riconducibile alla povertà di molte zone del pianeta, è causa di molte violazioni dei diritti umani”. E in quell’ultimo anno di scuola primaria abbiamo continuato a camminare tutti insieme, armeggiando con libri e penne, per fare arrivare lontano la nostra voce. E oggi sono certa che tutte le bambine e i bambini che ho avuto il privilegio di incontrare, ormai donne e uomini, sono e saranno sempre capaci di testimoniare la propria libertà di pensiero, condizione imprescindibile perché una società possa ritenersi davvero civile.
Il brano che segue è tratto dal libro “Io sono Malala” di Malala Yousafzai , storia vera di una vita coraggiosa, di una “rivoluzione semplice", un inno alla tolleranza e al diritto all’educazione di tutti i bambini, una voce capace di cambiare il mondo.
Il giorno in cui tutto è cambiato era martedì 9 ottobre 2012: di certo non il giorno migliore, dato che eravamo sotto esami, anche se io, da vera secchiona, non ero preoccupata quanto le mie compagne. Quella mattina raggiungemmo lo stretto vicolo fangoso vicino a Haji Baba road con la solita processione di risciò variopinti sputacchianti diesel bruciato, ognuno carico di cinque o sei ragazzine. Da quando i talebani erano saliti al potere, la nostra scuola non aveva un’insegna e la porta in ottone decorato, che spiccava nel muro bianco di fronte al deposito di una segheria, non lasciava intravedere nulla di ciò che accadeva all’interno. Per noi ragazze quella porta era come una magica soglia che portava al nostro mondo speciale. Appena entrate, ci toglievamo subito il velo, come quando un soffio di vento spazza via le nuvole per fare posto al sole, poi correvamo su per la scala saltando i gradini a due a due. In cima alla scala c’era una terrazza su cui si aprivano le porte delle aule: buttavamo per terra gli zaini nelle classi e ci preparavamo per l’adunata mattutina all’aperto, sull’attenti, con le montagne alle nostre spalle. La scuola era stata fondata da mio padre prima che io nascessi, e sul muro sopra le nostre teste svettava ancora, in orgogliosi caratteri bianchi e rossi, la scritta Khushal School. Avevamo lezione sei mattine alla settimana e io, avendo quindici anni, ero iscritta alla nona classe: durante le lezioni ripetevamo formule chimiche e studiavamo la grammatica urdu, scrivevamo brevi racconti in inglese - che terminavano spesso con morali tipo: «Presto e bene non stanno insieme» - e disegnavamo diagrammi della circolazione sanguigna (la maggior parte delle mie compagne sognava di diventare medico). È difficile immaginare che qualcuno potesse vedere in tutto ciò una minaccia. Eppure, fuori da quella porta di ottone non c’erano solo il rumore e la confusione di Mingora, la città principale del distretto dello Swat, ma anche chi, come i talebani, pensava che le ragazze non debbano andare a scuola. Quella giornata era cominciata come tutte le altre, solo un po’ più tardi. Siccome c’erano gli esami, la scuola iniziava alle nove invece che alle otto. Ne ero felice, perché non mi è mai piaciuto alzarmi presto: così avevo potuto continuare a dormire fra il canto dei galli e la chiamata alla preghiera dei muezzin […] Malala Yousafzai
DAMIANA ANGIONE